da Alessandro De Gaetano
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Cina: in marcia verso il cambiamento

Quando il Congresso Nazionale del Popolo della Cina si è riunito per la sua sessione annuale a Pechino a marzo, i 2.943 delegati si sono trovati di fronte ad una delle ultime vestigia Soviet-style di politica economica - il piano quinquennale. Sono lontani gli obiettivi duri e le improponibili quote di produzione per ogni attività agricola, fabbrica e miniera che Mao Zedong ha imposto, nel tentativo di recuperare rapidamente terreno alle grandi potenze industriali, con risultati disastrosi.

La versione moderna cinese è una guida più flessibile che fissa gli obiettivi di massima del governo, non solo per l'economia, ma anche per le politiche sociali e, adesso più che mai, la salvaguardia dell’ambiente. Una cosa non è cambiata però: il Congresso non avrà nessun potere sulle decisioni del partito, anzi si limiterà a "timbrare" come è stato fatto in ogni piano precedente dal 1953.

I leader cinesi stanno cercando di progettare una difficile transizione da una “investment-driven economy” basata principalmente sull’industria pesante, esportazioni a basso costo ed investimenti in infrastrutture ad un modello più sostenibile alimentato dai consumi interni, produzione di alta qualità e un settore dei servizi notevolmente ampliato. Questo è destinato ad essere un processo lungo, disseminato di ostacoli e insidie. Ma il piano dovrebbe fornire una road map mettendo in evidenza i settori sui quali aumentare gli investimenti e quelli in cui il capitale deve essere limitato, come ad esempio l'industria siderurgica che attualmente è in una fase di sovrapproduzione.

Settore secondario e terziario cinese in relazione al PIL

L'espansione economica della Cina ha subito un rallentato lo scorso anno, attestandosi ad un tasso ufficiale del 6,9%, scendendo al di sotto dell'obiettivo 7% per la prima volta dalla recessione globale nel 2009, risultando la crescita annuale più debole in più di 20 anni.

L'obiettivo del PIL per il 2016 dovrebbe essere ancorato tra il 6,5% e il 7%, con l’obiettivo del piano quinquennale del 6,5% circa di espansione media annua, che sarebbe ancora impressionante per la seconda economia più grande al mondo. Risultati inferiori potrebbero compromettere e rendere quasi impossibile il raggiungimento dell'obiettivo pubblicizzato dal governo, ossia raddoppiare sia il prodotto interno lordo che il reddito pro capite nazionale – portandolo fino a 12.000 dollari annui - tra il 2010 e il 2020.

Le imprese sotto il controllo statale con quotazioni gonfiate, sovraindebitate, inefficienti e spesso corrotte sono un elemento centrale del nuovo piano, uno dei primi problemi da risolvere. Questo settore rappresenta circa il 40 % della produzione industriale, una stragrande porzione di overcapacity, quasi la metà di tutti i prestiti bancari, una grossa fetta dei problemi di corruzione noti e praticamente tutte le cosiddette società "zombie". Questi sono i morti che camminano che hanno di fatto bloccato la maggior parte della produzione, mantenendo però l'occupazione a bassi livelli di retribuzione e coprendo i loro debiti attraverso ulteriori prestiti - tutto per evitare di accrescere il già alto numero di fallimenti e perdite su crediti.

Le intenzioni del governo sembrano chiare: Pechino è determinata a sopprimere alcuni degli zombie, fonderne altri con l’obiettivo di creare società efficienti e tagliare fino a sei milioni di posti di lavoro statali (su un totale di circa 37 milioni, di cui quasi un terzo è occupato nella produzione di acciaio e carbone), eliminare l’overcapacity e ridurre l'inquinamento industriale nei prossimi due o tre anni. L’obiettivo primario quindi è di vedere un cambiamento nel modus operandi delle aziende statali che saranno tenute a comportarsi più come le loro efficienti controparti private.

In ogni caso, la massiccia sovrapproduzione cinese di tutto, dall’acciaio ai prodotti chimici per passare al cemento, carta, alluminio, vetro, attrezzature minerarie e costruzioni navali, deve essere affrontata seriamente. L'eccesso di produzione porta inesorabilmente a deprimere i prezzi, aggiungendo altre difficoltà ad un già sofferente mercato interno ed aumentando l'attrito con gli Stati Uniti e gli altri partner commerciali, che operano in un mercato invaso da prodotti venduti a prezzi al di sotto dei costi di produzione.

Prendendo in considerazione solo l’acciaio, il surplus cinese supera la produzione totale degli Stati Uniti, Germania e Giappone messi insieme. Pechino è determinata a tagliare fino a 150 milioni di tonnellate di produzione annua entro lo scadere del quinto anno del piano economico, che si conclude nel 2020.

Se la Cina dovesse realmente superare anche questa sfida, allora assisteremo alla riaffermazione di un’economia dominante e forse al definitivo sorpasso nei confronti degli Stati Uniti come prima potenza mondiale.