Cina: in marcia verso il cambiamento

Quando il Congresso Nazionale del Popolo della Cina si è riunito per la sua sessione annuale a Pechino a marzo, i 2.943 delegati si sono trovati di fronte ad una delle ultime vestigia Soviet-style di politica economica - il piano quinquennale. Sono lontani gli obiettivi duri e le improponibili quote di produzione per ogni attività agricola, fabbrica e miniera che Mao Zedong ha imposto, nel tentativo di recuperare rapidamente terreno alle grandi potenze industriali, con risultati disastrosi.

La versione moderna cinese è una guida più flessibile che fissa gli obiettivi di massima del governo, non solo per l'economia, ma anche per le politiche sociali e, adesso più che mai, la salvaguardia dell’ambiente. Una cosa non è cambiata però: il Congresso non avrà nessun potere sulle decisioni del partito, anzi si limiterà a "timbrare" come è stato fatto in ogni piano precedente dal 1953.

da Alessandro De Gaetano
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Uno sguardo alla storia dei piani quinquennali cinesi

I piani economici quinquennali non sono solo uno degli ultimi simboli superstiti delle radici ideologiche di una Cina in rapido e continuo mutamento, ma hanno praticamente tracciano un arco attraverso la storia moderna cinese, evidenziando gli eventi e le priorità più importanti da quando Mao Zedong ha preso le redini del Paese. Dopo una prima fase, dove si seguivano i modelli economici di stampo sovietico, il governo comunista fondato da Mao implementò il primo piano quinquennale nel 1953, grazie anche alla consulenza e l'assistenza tecnica di consiglieri sovietici. E’ in quella data si vide il primo vero intento di ammodernamento: Mao volle trasformare la Cina da un’economia prettamente agraria ad una vera e propria potenza industriale. "Possiamo fare tavoli e sedie, tazze e teiere, sappiamo coltivare il grano e trasformarlo in farina," disse Mao "ma non sappiamo fare neanche un’automobile, un aereo, un carro armato o un trattore.

da Alessandro De Gaetano
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L' affare del petrolio: scontro Arabia Saudita - Iran

Alla fine, l'esito del vertice di Doha, dove si sono riuniti 16 ministri del petrolio presso l’hotel Sheraton in Qatar, è stato deciso da un paese che neanche c'era. La decisione dell'Iran, alla vigilia della riunione, di non partecipare era già un segnale che le cose non sarebbero andate tanto bene, ma il bello doveva ancora venire. Infatti, il giorno del summit, l'Arabia Saudita ha sbalordito quasi tutti insistendo sul fatto che ogni membro dell'OPEC, compreso l'Iran, doveva necessariamente sottoscrivere l'accordo per bloccare la produzione di petrolio. Questa inaspettata evoluzione ha portato il meeting a trascinarsi fino alla sera, quando inizialmente era stato programmato per terminare con una conferenza stampa nel primo pomeriggio.Si sono dati dieci ore in più rispetto ai tempi previsti, ma la maratona negoziale di Doha non è servita a nulla: l'accordo per congelare la produzione di petrolio non è stato raggiunto.

da Alessandro De Gaetano
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