da Alessandro De Gaetano
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Uno sguardo alla storia dei piani quinquennali cinesi

I piani economici quinquennali non sono solo uno degli ultimi simboli superstiti delle radici ideologiche di una Cina in rapido e continuo mutamento, ma hanno praticamente tracciano un arco attraverso la storia moderna cinese, evidenziando gli eventi e le priorità più importanti da quando Mao Zedong ha preso le redini del Paese. Dopo una prima fase, dove si seguivano i modelli economici di stampo sovietico, il governo comunista fondato da Mao implementò il primo piano quinquennale nel 1953, grazie anche alla consulenza e l'assistenza tecnica di consiglieri sovietici. E’ in quella data si vide il primo vero intento di ammodernamento: Mao volle trasformare la Cina da un’economia prettamente agraria ad una vera e propria potenza industriale. "Possiamo fare tavoli e sedie, tazze e teiere, sappiamo coltivare il grano e trasformarlo in farina," disse Mao "ma non sappiamo fare neanche un’automobile, un aereo, un carro armato o un trattore.

Il primo piano era volto ad accelerare la produzione industriale cinese. Vennero fissati degli obiettivi di produzione specifici da raggiungere per fabbriche e miniere. 

Nel 1958, Mao implementò il secondo piano quinquennale, il cosiddetto “Dayuejin” il grande balzo in avanti, un tentativo di accelerare l'industrializzazione utilizzando comuni rurali e soprattutto le "backyard furnaces". Queste piccole fornaci venivano costruite nei cortili dei comuni popolari, e da qui prendono il loro nome. La gente usava ogni tipo di carburante possibile per alimentare questi forni, dal semplice carbone al legno procurato dalle bare. Quando non erano disponibili metalli grezzi da fondere, si ripiegava su tutti gli oggetti in acciaio o metallo su cui potevano mettere le mani, tra cui pentole e padelle, ma soprattutto ogni tipo di attrezzo da agricoltore.

Questa manovra fu un fallimento sotto molti aspetti ed è stato così dirompente che i piani quinquennali furono sospesi fino al 1966.

I successivi piani quinquennali - nel 1966 e nel 1971 - erano più ideologici, e il progresso economico si trovò in una nuova fase di stallo durante il caos della Rivoluzione Culturale. Ma con la morte di Mao nel 1976, Deng Xiaoping poté iniziare la trasformazione economica della Cina attraverso i piani quinquennali del 1976, 1981, 1986 e 1991, aprendo al mercato capitalistico. La giustificazione teorica che fornì per consentire ciò fu questa:

“Pianificazione e forze di mercato non rappresentano l'essenziale differenza che sussiste tra socialismo e capitalismo. Economia pianificata non è la definizione di socialismo, perché c'è una pianificazione anche nel capitalismo; l'economia di mercato si attua anche nel socialismo. Pianificazione e forze di mercato sono entrambe strumenti di controllo dell'attività economica.”

Verso la fine del 1990, con il boom della produzione manifatturiera, l'allora presidente cinese Jiang Zemin sostenne la riforma delle grandi imprese pubbliche e nel 2001 la Cina fu inserita nell’ Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Successivamente, il presidente Hu Jintao, al sedicesimo congresso nazionale del partito comunista della Cina, è sembrato avere un atteggiamento più egalitario del suo predecessore. Hu ed il suo primo ministro Wen Jiabao hanno puntato a realizzare una società più armoniosa, cercando di diminuire le disuguaglianze e di puntare sul benessere. Hanno scommesso sui settori della popolazione cinese che non hanno partecipato alla riforma economica ed hanno tentato di far uscire la Cina da una politica di "sviluppo economico a tutti i costi" e, favorendo una politica economica più equilibrata, tenere conto di fattori quali la diseguaglianza sociale e i danni ambientali, compreso l'uso del "prodotto interno lordo verde".

L’attuale presidente della Cina, Xi Jinping, ha utilizzato il 12° piano quinquennale per ricalibrare l'economia, dopo anni di crescita insostenibile guidata dalle esportazioni che ha provocato un forte inquinamento e potenzialmente destabilizzato gli equilibri sociali.

Mentre l’obiettivo del 13° pieno è di concentrarsi sull’innovazione, di rendere più “verde” e sostenibile l'economia e di riformare il settore finanziario del Paese.

Solo il tempo potrà dirci se questo piano sarà soddisfacente o meno